di Mariella Stella

All’indomani dell’ennesimo DPCM in cui vengono annunciati nuovi aiuti alle famiglie, che al momento non sembrano segnare significative discontinuità con il recente passato, ha ancora più senso pubblicare i risultati della nostra call for ideas, lanciata ad aprile, in pieno lockdown e con mille domande da porre alle Istituzioni circa il futuro delle famiglie italiane in fase 2.

Siamo entrati da qualche giorno nella seconda fase dell’emergenza e le diverse task force del Governo stanno restituendo soluzioni che, in parte, fanno proprie le indicazioni che tanti genitori hanno fatto in modo di far arrivare al governo, con lettere ai Sindaci, ai Ministri (la nostra è di marzo 2020), all’ANCI, nella disperata ricerca di risposte o meglio di proposte.

Ed è senza dubbio la nota positiva di tutta questa situazione: rilevare un’energia sopita delle famiglie, che è diventata un tam tam molto potente all’indomani dell’emergenza, e che in un attimo ci ha messo in rete, da nord a sud, con tantissimi genitori, educatori e cittadini attivi che, in tutta Italia, stavano portando avanti le stesse battaglie.

Del resto, il fatto di non sentirsi soli è stato importante, ci ha restituito l’idea che il welfare DEVE essere condiviso e DEVE essere partecipato. In fondo le parti chiedono partecipazione prima che soluzioni, chiedono coinvolgimento prima che fondi.

E nata così la proposta partecipata che vi presentiamo, il risultato di un processo di coinvolgimento di intelligenza collettiva “informata sui fatti” non solo per esperienza quotidiana, ma anche per profilo professionale, visto che in alcuni casi i partecipanti alla call sono stati  neuropsichiatri, ricercatori, psicologi, educatori.

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I TEMI DI DISCUSSIONE su cui sono stati chiamati ad esprimersi gli utenti coinvolti sono 5:

  1. SCUOLE- COME RIAPRIRE?
  2. BIMBI ALL’ARIA APERTA-. COME RIORGANIZZARE I GIOCHI?
  3. NUOVI SERVIZI PER LE FAMIGLIE
  4. AL MARE CON I BIMBI IN FASE 2
  5. ATTIVITA’ ESTIVE IN FASE 2

Dalle risposte pervenute, il primo elemento emerso è stato quello del bisogno primario di sentirsi presto e nuovamente parte di un’alleanza educativa che l’arrivo del Covid-19 sembra aver interrotto. La prima impressione è che i genitori coinvolti sentano una grande solitudine nella gestione dei propri figli e dei loro percorsi educativi in questo momento, nonostante la DAD e gli enormi sforzi della scuola.

Ma quanto è importante che i genitori non siano soli? Lo è infinitamente,  e purtroppo c’è una fetta di collettività che non lo riconosce. Dopo la pubblicazione della nostra lettera al Ministro della Famiglia siamo stati sommersi da contatti di altri genitori, email, messaggi da tutta Italia, e abbiamo avuto immediatamente l’impressione di aver toccato un tema caldo e sentito da moltissimi.

Tuttavia, tra i vari commenti ci siamo anche imbattuti in frasi del tipo: “Non capisco di cosa si lamentino questi genitori, hanno voluto la bicicletta e ora devono pedalare” e altre espressioni facili di questo tenore. Il problema invece è proprio qui, perché forse sfugge a molti che i nostri figli sono i vostri figli, sono i loro figli, sono il futuro di questo paese, e mettere al mondo dei figli non è un atto egoistico, è un contributo enorme alla crescita di un intero paese.

Il welfare familiare, pertanto, non è una facoltà, è un diritto, è l’indicatore fondamentale per valutare la qualità di un Paese e le sue priorità, è la cartina di tornasole che racconta l’idea di futuro che chi governa ha per il suo Paese.

In realtà quello che emerge con forza è che un Paese come l’Italia, in cui i genitori non sono rappresentati da nessuno, in cui non si sono mai organizzati in maniera unitaria e laica rispetto alla difesa dei diritti della famiglia, in un movimento in grado di avere un peso nelle decisioni di governo, avere una sua rappresentatività nel momento in cui si tratta di discutere di cosa abbiano bisogno, è un Paese che da decenni ha smesso di parlare del suo futuro perché non ha neanche provato ad ascoltare i propri bisogni, e ascoltare i bisogni della famiglia, vuol dire ascoltare tutta la sua comunità.

Ed è lo stesso Paese che sembra non volersi accorgere che le sue famiglie sono molto diverse nella loro conformazione dalla famiglia di Nazareth, le sue sono famiglie a “geometria variabile”, famiglie con figli di genitori diversi, con matrimoni precedenti alle spalle e figli di altri matrimoni, con due mamme, con due papà, con un solo genitore, le sue sono famiglie reali di un tempo nuovo e per parlare di welfare in maniera competente e utile questo Paese deve accettare la nuova fotografia della famiglia che la realtà restituisce ogni giorno.

Il punto è che spesso tutte queste famiglie sono bravissime ad auto-organizzarsi, a costruire un sistema di welfare dal basso che sopperisce all’assenza di piani istituzionali per la famiglia, e sembrano arrendersi all’evidenza di un welfare che non c’è, come fosse un dato di fatto immutabile con cui fare i conti.

Dalla nostra call, però, emerge anche un dato importante, ovvero che ai genitori è chiaro che gli interlocutori primari in questa storia sono le Istituzioni. Molti, infatti,  nelle loro riposte si rivolgono ai Sindaci, agli Assessori, a quelle figure istituzionali di prossimità che non possono ignorare un bisogno come quello della presa in carico delle famiglie e dei figli del proprio territorio, e nel contempo, nel rivolgersi alle istituzioni non si sottraggono dal fare la propria parte, dall’offrire il proprio contributo, non c’è uno sgravio di responsabilità ma la consapevolezza che in assenza di istituzioni pronte a mettere in atto un piano, e mettere in campo le proprie forze per la comunità, si sentiranno nuovamente soli e abbandonati a se stessi.

Più che del Governo, è del Sindaco e del Comune che i genitori sentono il bisogno. Ad esempio, è ai Comuni che i genitori riconoscono in questo momento il compito di mappare tutti gli spazi possibili: verdi, sportivi, ampi, in sicurezza per pianificare in che modo metterli a disposizione delle attività dei bambini, dai centri estivi alla scuola.

E non sono poi così lontani da intuire ottime soluzioni, visto che molte delle risposte che hanno dato vanno esattamente nella direzione intrapresa da molti governi in questo periodo. Del resto, è emblematico il caso della Danimarca con la scuola negli Stadi, una proposta presente anche nella nostra call.

Un’idea molto interessante, emersa nella call, è anche quella di creare una scuola “diffusa” tra masserie didattiche e scuole di piccoli centri in spopolamento (le aree interne?) chiuse per mancanza di alunni e ora di nuovo utili per distribuire l’utenza, avvalersi del volontariato e del terzo settore per sopperire alla carenza di docenti ed educatori, proporre a insegnanti disponibili a farlo una sorta di banca del tempo, la possibilità di organizzare piccole lezioni o incontri empatici con i loro ragazzi in estate, per riallacciare il filo del legame scuola-famiglia.

Una proposta che travalica tutte le questioni sindacali e formali che sembrano impedire una ripresa parziale dell’anno scolastico d’estate. C’è anche tanto outdoor ovviamente nelle proposte, tanta aria aperta e ruralità. L’impressione è che il tema della scuola nel bosco e della didattica all’aperto sia stato finalmente sdoganato, quando fino a ieri veniva vissuto come un sorta di scelta di nicchia, oggi diventa “necessità” in tutta la sua reale potenzialità

Altro tema caldo emerso è quello della sorveglianza, in particolare sulle spiagge. Nella call ci sono numerosi rimandi alla necessità che i Comuni provvedano alla sorveglianza  e al controllo del rispetto delle distanze di sicurezza e del distanziamento tra gli ombrelloni, i lettini e le persone. Non vengono proposte nuove strutture architettoniche, ma meno lettini e ombrelloni e molta sorveglianza, affidata anche in questo caso a volontari, scout, bagnini, etc  e anche un tema di sanificazione da far rispettare ai gestori. Vi è anche la proposta di lasciare nei lidi solo gli ombrelloni a distanza e invitare gli utenti a portarsi ogni giorno il proprio lettino sanificato per essere sereni rispetto all’affidabilità delle procedure di igienizzazione.

Indubbiamente, emerge forte la consapevolezza che c’è bisogno che ognuno faccia la sua parte, ma vi è anche la convinzione che se questa volta qualcuno non farà la sua, sarà più evidente del solito, e le responsabilità peseranno come macigni sulle spalle e sulla credibilità di chi non avrà provveduto.

Restano, infine, ferme le certezze delle famiglie: la rete delle altre famiglie, la solidarietà reciproca, il ruolo degli asili casalinghi condivisi, dell’auto-organizzazione dei servizi, un paracadute fondamentale ed affidabile a cui rivolgersi in caso di bisogno.

La parola rete ricorre tantissimo e il tema dell’alleanza pubblico-privato è riconosciuta più volte come fondamentale.

Sono famiglie che sanno quel che serve e che forse andrebbero ascoltate un bel po’ di più, non solo in tempo di Covid-19, da Governi e Amministrazioni locali spesso così lontane negli ultimi decenni da semplici soluzioni di buon senso, che, statene certi, ad una famiglia sarebbero venute in mente. 🙂