Articolo pubblicato su InGenere | 20.11.2015

I congedi di paternità fanno bene a tutti: papà, figli, mamme e mercato del lavoro, ce lo dicono sempre più numerose ricerche. Una proposta di legge c’è, ma la sua discussione è stata rimandata: è ormai inaccettabile il ritardo italiano nell’approvare misure concrete.

Le ricerche sullo sviluppo del capitale umano mostrano che i legami più importanti, le influenze più significative e durature nel tempo si creano e si rafforzano nei primi anni di vita. I rapporti con le mamme si stabiliscono anche prima di nascere, ma i rapporti con i padri possono crearsi a volte molto più avanti nel ciclo di vita. Come mostrano molte ricerche di James Heckman, per ogni investimento in capitale umano è cruciale la dimensione temporale.   L’investimento di tempo dei padri quando i bambini sono in primissima età aiuta il loro sviluppo cognitivo negli anni seguenti, con una “produttività” non molto diversa da quella delle mamme. Inoltre, la presenza di un padre attivo, che divide equamente il lavoro familiare con la mamma, può diventare un importante modello positivo per le bambine e incoraggiare le loro aspirazioni. Secondo altre ricerche, la collaborazione dei padri nelle attività familiari e di cura favorisce la conciliazione lavoro famiglia sostenendo l’incremento dei tassi di fertilità e l’offerta di lavoro delle mamme. I congedi di paternità hanno proprio l’obiettivo di avviare e sostenere un percorso di riequilibrio del mercato del lavoro e di maggiore uguaglianza di genere nella famiglia.

Se guardiamo i dati sul tempo che i padri dedicano ai figli vediamo come gli italiani siano indietro: secondo i dati recenti di una ricerca condotta dal Sirc (centro di ricerche inglese specializzato in analisi dei trend sociali), i padri italiani dedicano ai loro figli in media 38 minuti al giorno, mentre le madri dedicano 4 ore e 45 minuti, nei paesi del nord Europa la media è di circa  64 minuti. Tra le ragioni di questa differenza oltre la persistenza di una cultura scarsamente orientata alla parità di genere dentro e fuori dalla famiglia c’è anche una questione di età. I padri italiani sono diventati tra i più vecchi d’Europa, in seguito alla crescente e prolungata convivenza con i genitori. Come mostrano i dati ISTAT, i padri italiani hanno il primo figlio in media a 33, sono tre anni più dei padri di altri paesi vicini come Francia, Germania Spagna e Svezia in cui l’età media al primo figlio è inferiore ai 30. Nonostante tutto, i dati sull’uso del tempo ci dicono che, anche in un contesto arretrato come quello italiano, i padri più giovani e istruiti stanno investendo di più nei figli piccoli e il tempo che dedicano ai figli sta diventando ormai paragonabile a quello dei paesi in cui c’e una maggiore uguaglianza di genere,

In Italia, la politica attuata finora dei congedi parentali non ha avuto molto impatto sui comportamenti paterni e la ragione forse più importante è quella economica. I congedi parentali dei padri pagati al 30% sono stati usati in misura molto limitata dai padri (anche se la proporzione lentamente cresce). Ad oggi i padri che prendono i congedi parentali facoltativi sono circa il 12 per cento dei beneficiari, in leggero aumento rispetto all’11% nel 2012 e il 10,8% nel 2011. Questi dati sono molto lontani da altri paesi dove i congedi parentali vengono retribuiti di più e la proporzione di padri che ne usufruiscono raggiunge livelli molto più alti (fino ad arrivare al 97% della Norvegia).

Come ci dimostrano i paesi dove i congedi vengono usati, per essere efficace, il congedo deve essere individuale, non trasferibile e ben retribuito. Minore la perdita economica, maggiore la probabilità che il padre prenda il congedo. I dati emersi da un intervento innovativo e sperimentale di contributo addizionale ai padri che prendono il congedo parentale nel primo anno di vita del/la loro bambino/a ne sono la riprova. La Regione Piemonte, con il bando Insieme a papà, ha previsto l’erogazione di un contributo ai padri lavoratori che usufruiscono del congedo parentale al posto della madre lavoratice. Questo “esperimento” avviato da alcuni anni, ha avuto risultati molto positivi e incoraggianti tanto che è stato proposto un nuovo bando per il 2015[5].

Va sottolineato come i congedi di paternità  individuali e non trasferibili, presi entro i primissimi mesi di vita del bambino, siano uno strumento importantissimo per formare da subito un rapporto diretto e profondo. Questo rapporto ha bisogno di tempo per essere costruito. In  Italia, il congedo di paternità introdotto dalla legge 92/2012  si limitava ad un unico giorno obbligatorio (con ulteriori due giorni facoltativi alternativi al congedo di maternità della madre) con scarse probabilità di produrre un effetto significativo  sui comportamenti nell’uso del tempo.

L’emendamento approvato dalla Commissione Bilancio del Senato ha prolungato al 2016 la sperimentazione di questa legge e raddoppiato la durata del congedo a due gioni obbligatori  (piu’ altri due facoltativi).  Sono sempre troppo pochi: il disegno di legge proposto da Valeria Fedeli  prevede  un congedo di paternità di quindici giorni, obbligatorio e pagato all’80% dello stipendio, come i congedi di maternità, va nella direzione giusta di creare maggiore eguaglianza di genere in famiglia e conseguentemente nel lavoro e di creare l’opportunità per i figli di avere da subito, appena nati, un rapporto diretto, individuale con i loro padri.