Articolo di Stefano Arduini del 23 giugno 2016 su VITA.it
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Nei prossimi mesi si moltiplicheranno le esperienze dei cosiddetti nidi di comunità. Un modello vincente grazie al coinvolgimento del territorio.

La legge nazionale sugli asili nido, che da luoghi assistenziali li trasformava in servizi educativi, risale al 1971. Da allora le iscrizioni non sono mai calate. Da tre anni a questa parte (-4% dato Istat 2013) l’inversione del trend sta allontanando sempre più il nostro Paese dall’obiettivo europeo che a Lisbona nel 2000 ha fissato il traguardo al 33% (l’Italia oggi è ferma al 17%). Quarantacinque anni dopo quella riforma potremmo essere di fronte a un nuovo passaggio cruciale. La parola d’ordine questa volta è nido di comunità. Gli ingredienti? Un sistema di rette modulari in base sia al tempo di fruizione effettivo, sia alle capacità economi- che familiari; possibilità di “pagamenti in natura”; partecipazione attiva di genitori e parenti nella costruzione del piano educativo; coinvolgimento di volontari e, infine, attività di raccolta fondi.

Un format che Fondazione Mission Bambini con una sperimentazione lanciata nel 2006 ha già applicato in cento strutture in tutta Italia (investendo in tota- le 3,3 milioni di euro) equamente divise fra nidi standard e i cosiddetti spazi giochi, in particolare questi ultimi concentrati nel Sud, dove i dati delle presenze dei bambini negli asili nido sono disarmanti: in Calabria per esempio la percentuale è del 2,1%. «Il modello che abbiamo definito colloca il nido in relazione con il contesto territoriale per questo ci piace definirli nidi di comunità», interviene il responsabile Progetti Italia di Mission Bambini, Alberto Barenghi.

Nell’ambito infatti del Tfiey (Transatlantic Forum on InclusiveEarly Years) coordinato dalla Fondazione Re Baldovino (Belgio), Fondazione Cariplo, Compagnia di San Paolo, Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e di Rovigo e Fondazione Con Il Sud, in partenariato con la Fondazione Zancan promuoveranno in Italia la nascita di servizi comunitari in cui l’idea guida è il “concorso al risultato”: familiari e volontari vengono coinvolti nella realizza- zione dell’offerta educativa. I primi tre saranno attivi con l’avvio del prossimo anno scolastico in Veneto: a Padova, a Rovigo e a San Siro di Bagnoli di Sopra. Tutti sono supportati da un contributo biennale della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo che va dai 25 ai 30mila euro a copertura di circa il 70% delle spese di startup.

«In questo modo», interviene Annarita Mancarella, «doteremo il nostro isti- tuto di una sezione primavera per bimbi da 24 a 36 mesi». Mancarella è la coordinatrice didattico-educativa dell’istituto paritario Vendramini di Padova che già oggi comprende una scuola per l’infanzia e una primaria. «Adotteremo un modello di vera e propria sussidiarietà circolare», spiega, «in cui grazie alla coprogettazione scuola/famiglia, alla partecipazione delle associazioni e alla raccolta fondi avremo la possibilità di offrire una riduzione del 50% per almeno dieci figli di genitori in difficoltà economica».

Poco più a sud, a Rovigo opera invece la coop sociale Porto Alegre (2,4 milioni di fatturato con un utile di circa 100mi- la euro nel 2015). Desirèe Cobianchi è la responsabile del progetto. Anche in questo caso la modularità delle rette (il prezzo ipotizzato è di 8 euro l’ora) e la partecipazione attiva di volontari e genitori costituiranno il punto qualificante: «Ci sarà anche la chance di versare la retta contribuendo alle attività in prima persona coi laboratori didattici o aiutando a fare le pulizie».