“Se una società vuole veramente proteggere i suoi bambini, deve cominciare ad occuparsi dei genitori”

(Jhon Bowlby)

Con il termine burnout (letteralmente “bruciarsi”) si indica un forte disagio psicofisico che riguarda le figure professionali impegnate nella gestione quotidiana dei problemi altrui (infermieri, insegnanti, medici, psicologi…), che comporta una perdita progressiva di energie, dovuta ad una cattiva gestione dello stress lavorativo. 

Negli anni 80 questo concetto è stato utilizzato per la prima volta in riferimento ai genitori di bambini affetti da malattie croniche e di difficile gestione, coniando così il termine burnout genitoriale.

A partire dal 2016 il burnout genitoriale è stato oggetto di studi e di ricerche scientifiche (tra le più note quelle di M. MikolajczakUniversità Cattolica di Lovanio), che hanno portato alla luce come tale fenomeno sia in realtà molto più ampio e riguardi molte mamme e papà, indipendentemente dalle condizioni di salute dei propri figli.

Un proverbio africano ricorda che “per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio”, ma oggi, più che mai, nella nostra quotidianità, molti genitori sono soli e devono destreggiarsi con molta fatica nei ruoli che contemporaneamente sono chiamati ad assumere: lavoratori, partner, figli, educatori. 

Momenti di forte stanchezza, perdita di energie e senso di colpa o inadeguatezza sono sperimentati, in alcuni momenti di vita particolarmente intensi o stressanti, da tutti i genitori.

Il burnout, tuttavia, è qualcosa di più di tutto questo: si tratta di un esaurimento cronico di energie e vitalità e causa disagi di tipo fisico e psicologico così intensi da compromettere la funzionalità e il benessere della relazione con i propri figli e con il partner. 

Le ripercussioni del burnout sono lampanti anche a livello fisico: le ricerche riportano, infatti, nei genitori in burnout livelli di cortisolo (l’ormone dello stress cronico) molto più alti rispetto a quelli dei genitori che non vivono alcun disagio. 

Come ci si può accorgere di essere vicini al burnout genitoriale?

Ci sono alcuni segnali a cui è necessario prestare attenzione: il primo è la sensazione di esaurimento fisico e psicologico, che, a differenza della semplice stanchezza, non scompare facilmente (ad esempio dormendo di più o ritagliandosi dei momenti di pausa) e diventa, invece, cronica, indipendentemente dalle attività che svolgiamo.

Il secondo è l’allontanamento emotivo dai propri figli: la sensazione di non riuscire più a empatizzare con loro e con i loro bisogni, accompagnata, spesso, dal desiderio di voler dedicare le poche energie che si sente di avere esclusivamente a se stessi.

Mamme e papà in burnout, infine, non provano piacere, né si sentono appagati dal loro ruolo di genitori, percependosi costantemente inadeguati e sopraffatti dai bisogni e dalle richieste dei propri figli, al punto da non riuscire a rispondere ad essi in modo funzionale.

Ciò può determinare in molti casi il ricorso a comportamenti violenti o negligenti nei confronti dei propri figli, anche se ciò non è desiderato intenzionalmente.

L’uso della violenza, sia essa fisica che verbale nei confronti dei bambini, e più in generale, degli altri, il sentirsi sopraffatti dalle proprie reazioni, il non riconoscersi più in esse possono tutti essere campanelli di allarme che ci indicano che dobbiamo fermarci e che è necessario prenderci cura di noi.

Si riscontra un aumento di casi di burnout dopo la pandemia da Covid 19?

Ad oggi non vi sono dati sufficienti a conferma di una possibile correlazione tra la pandemia da Covid 19 e un incremento di casi di burnout genitoriale: le ricerche sono ancora in corso.

Per alcuni genitori la pandemia e i conseguenti lockdown, hanno implicato un maggiore livello di stress, dovuto alla necessità di rimodulare le proprie attività e di imparare a gestire più richieste contemporaneamente (ad esempio, quelle derivanti dai propri figli, dal lavoro e dalle incombenze domestiche), in uno spazio abitativo in cui a volte è difficile mettere i confini.

Altri, al contrario, nello stesso periodo hanno riportato sensazioni di maggiore benessere, riuscendo a godere di spazi e momenti di condivisione come mai avevano sperimentato in precedenza nella routine familiare quotidiana.

Ciò che è certo è che l’emergenza pandemica ancora oggi in atto ha costretto molte famiglie a modificare bruscamente la quotidianità, lo stile di vita e le modalità di stare in relazione con gli altri, determinando necessariamente la ricerca di nuovi equilibri.

Molti genitori hanno saputo cogliere questo momento di disequilibrio e cambiamento come una opportunità di guardare a se stessi senza le “interferenze” della routine quotidiana e ciò ha reso possibile “accendere i riflettori” su di sé, sui propri disagi e portarli alla luce. 

Ciò potrebbe essere alla base dell’indiscusso incremento di richieste di aiuto psicologico e psicoterapico, nel periodo post lockdown, da parte di molti genitori in crisi o in difficoltà rispetto al proprio ruolo.

E’ possibile prevenire il burnout?

Tra i fattori considerati “protettivi” rispetto alla possibilità di sviluppare una condizione di burnout c’è sicuramente il lavoro, che, offrendo uno spazio individuale di espressione di sé, può costituire anche un modo per “ricaricare le batterie” dalla frenesia della gestione quotidiana dei ritmi familiari.

Al contrario, la costante attenzione alla performance, sia rispetto a se stessi che ai propri figli, può predisporre maggiormente ad una condizione di stanchezza cronica e ad uno stile di vita in cui ci si sente costantemente sotto pressione.

In linea di massima, però, è vero che il disagio psicologico, in tutte le sue forme, si previene soprattutto con uno sguardo attento su di sé e sui propri bisogni.

Quanto più si è consapevoli delle proprie emozioni, dei propri vissuti e delle proprie motivazioni, tanto più è naturale accorgersi quando “qualcosa non va” e attivarsi di conseguenza per cercare delle soluzioni.

Alcuni ricercatori hanno messo a disposizione delle mamme e dei papà che ipotizzano di essere in burn out, un test online, disponibile in lingua inglese, (en.burnoutparental.com) che può aiutare i genitori a fare uno screening più preciso su di sè.

Come si esce dal burnout?

Come per tutti i disagi di natura psicologica, è difficile offrire una soluzione universalmente valida o una “ricetta magica” per evitare il burnout o per uscirne.

Lavorare sulla propria consapevolezza è fondamentale: il primo passo è quello di comprendere quali siano i fattori che aumentano il nostro stress e, al contrario, individuare le risorse che ci danno benessere.

Importante, inoltre, è avere sempre cura di riequilibrare ogni aggiunta di fattori potenzialmente stressanti, con l’aggiunta di altrettante risorse.

Per sconfiggere il burnout è necessario lavorare su alcuni aspetti della propria personalità: abbassare le proprie aspettative, limare la tendenza al perfezionismo, dare voce ai propri bisogni soffocati o latenti; 

così come sarà utile cercare degli spazi individuali di “ricarica”, imparare a confrontarsi e a parlare delle proprie difficoltà o, ancora, chiedere aiuti esterni per la gestione più serena delle incombenze familiari e domestiche.

E’ necessario sottolineare, tuttavia, che un genitore in burnout può non essere lucido rispetto alla propria condizione di stress, pensando, ad esempio, che non ci siano soluzioni o attribuendo ad un fattore unico e specifico la responsabilità della sua situazione: un bambino difficile, un partner non abbastanza presente, genitori che non sono d’aiuto…. 

In realtà, nessun fattore singolo, da solo, può produrre il burn out dei genitori, che è sempre la combinazione di diversi fattori diversi. 

In questi casi, lavorare sulle proprie risorse può non bastare e può essere necessario chiedere aiuto ad un professionista.

Non bisogna dimenticare mai che il benessere dei genitori si ripercuote sempre su quello dei figli e che prendersi cura di sé e della propria sfera emotiva è un atto di coraggio, ma anche di amore verso noi stessi e i nostri cari.

Un genitore che si prende cura di sé, sarà in grado di guidare in modo più funzionale i propri figli, insegnando loro che nessuno è perfetto e che è sempre possibile chiedere aiuto nei momenti di difficoltà.

E contribuendo, così, indirettamente, al benessere delle generazioni future: perché i bambini che oggi ricevono cure e attenzioni amorevoli, saranno con grande probabilità, adulti e genitori attenti ed empatici. 

Rossella Caserta

psicologa e psicoterapeuta sistemico – relazionale, EMDR, psicologia perinatale e genitorialità consapevole