Sono mamma di tre figli meravigliosi, tanto desiderati e altrettanto impegnativi, com’è giusto che sia per tre bambini di età diverse tra loro. Ops, per due bambini e un ragazzo…

di Mariella Stella

C’è la piccola, l’ultima arrivata in famiglia, la femminuccia tanto attesa, un peperino vero di soli 13 mesi, il quattrenne con una carriera da attore consumato e animale da palcoscenico e c’è lui, il ragazzo, quasi 12 anni tra poco più di un mese, appena entrato in adolescenza.

Si perchè i tempi sono cambiati, si diventa adolescenti molto prima di noi, e noi abbiamo scoperto che in famiglia ci siamo dentro.

L’abbiamo attesa con timore l’innominabile, quasi con terrore stando ai racconti degli amici che già ci avevano a che fare, racconti da far tremare i polsi. Ma noi abbiamo deciso che non potevamo lasciare che ci avesse, che ci stritolasse nelle sue spire, abbiamo studiato noi, abbiamo provato a leggere libri per prevedere lo tsunami che stava per abbattersi sulla nostra famiglia, abbiamo fatto fiumi di discorsi su come sarebbe stato e su cosa non avremmo mai dovuto fare e dire, perchè “Quando eravamo adolescenti noi, altro che comandare…”

Poi silenziosamente (neanche troppo in realtà), e inesorabilmente, le porte dell’adolescenza si sono aperte e senza rendercene conto, chiedendoci se in realtà non fosse già successo da qualche anno e non ce ne fossimo accorti, ci siamo ritrovati a vivere con una persona nuova in casa.

Il primo indizio lo abbiamo trovato una mattina entrando in camera sua. Un odore acre, da adulto, ci ha travolti, soffocando in gola il consueto “Buongiorno” del mattino e da quel momento una nuova domanda ha cominciato a farsi ricorrente nelle nostre giornate insieme: hai fatto la doccia?

Una domanda per nulla scontata, che se in passato rappresentava niente altro che una gioiosa affermazione da condividere con i nostri piccoli, del tipo: Evviva, bagnetto!! oggi assume i contorni di una domanda non troppo retorica e che spesso conosce una risposta ricorrente: Perchè? Puzzo? E allora giù con tutti gli insegnamenti appresi rispetto al fatto di non far sentire un adolescente un problema, sul fatto di non usare linguaggi che possano urtarne la sensibilità, sulla delicatezza educativa da adottare per non scalfire l’autostima, sempre ballerina a quella età.

Abbiamo provato a usare risposte del tipo: No, vabbè, che c’entra, magari ti va di fare una doccia, magari ti fa sentire meglio, etc.

Dopo alcuni mesi però abbiamo capito che la risposta più efficace è soltanto una: “Si puzzi!” e lui, con fare svogliato e provando a difendere invece la nobilità degli odori, si chiude in bagno, scocciato, per darsi una lavata.

Dopo alcuni mesi di adolescenza in famiglia abbiamo capito che con un adolescente, spesso, le domande e le risposte dirette possono essere molto più efficaci dei giri di parole. I giri di parole li usavi quando erano piccoli, quando per invitarli a mangiare raccontavi storie fantastiche di patate animate e regni delle verdure, oggi se solo provi a usare una metafora poetica per descrivere un fatto quotidiano lo vedi alzare le sopracciglia ad arco a tutto sesto e guardarti sconvolto. Allora devi ricorrere a parole concrete e dimostrare di essere perfettamente padrone di te stesso per comunicare quello che vuoi dire, per evitare poi che il discorso prenda una deriva lessicale umiliante.

Che dire, forse ci è capitato l’adolescente più razionale e precoce della terra, ma tant’è, ne prendiamo atto, la sfida è di quelle impegnative.

Il fatto è che tutti gli insegnamenti che gli hai trasmesso da bambino e che sembrava aver appreso così bene, vengono usati contro di te, prima che tu possa anche solo immaginare come.

E così “Amore, devi imparare a cavartela da solo” si traduce in una assenza di comunicazioni alla prima vacanza senza genitori, e alla domanda: “Amore ma perchè non mi hai chiamato?” segue la risposta “Mamma io so badare a me stesso, se non ti chiamo vuole dire che sto bene, se stessi male ti chiamerei” … ecco… o per esempio, al primo giudizio crudo espresso su un insegnante o una ragazza, di fronte al tuo invito a non dire proprio tutto ciò che gli passa per la testa, lui replica con competenza: “Beh mamma, non mi hai insegnato tu ad esprimere le mie idee e ad essere libero nel pensiero?”

Non è facile, vi assicuro, roba che metterebbe in difficoltà anche i migliori avvocati in circolazione. Fondamentalmente, un mucchio di sfide mentali e concrete che potrebbero generare crisi di identità nei genitori, moti di sconforto e sedute dallo psicologo.

E poi, se c’è una fortuna particolare e inconfutabile che è toccata in dote a noi genitori di adolescenti del terzo millennio e nativi digitali, è indubbiamente la scoperta delle scoperte: il cellulare.

Rispetto a quello non c’è manuale che tenga, non c’è letteratura nè vita vissuta, non c’è un riferimento educativo ai nostri genitori, se non, al massimo, fare riferimento a quando mettevano il lucchetto al telefono della SIP per non farci passare i pomeriggi a chiacchierare con le amiche. Rispetto a quell’oggetto diabolico, il cellulare, nel binomio con l’adolescente, non c’è sportello di aiuto, è tutta da inventare la strada.

Non starò qui a dirvi quali tecniche abbiamo messo in campo per contare il tempo e i minuti a disposizione, in un gioco delle cifre da far diventare scemi, soprattutto se mentre fai i conti, hai un quattrenne che sta tenendo uno spettacolo di giocoleria di cui ti considera il pubblico e una poppante che sta imparando a camminare arrampicandosi sui mobili. Insomma, quello strumento là è tutto da capire, servirebbero tavoli di confronto tra genitori in cui utilizzare il problem solving creativo per trovare soluzioni a prova di bomba.

In realtà questo tavolo non c’è ancora, e capita di sentirsi soli con un adolescente e di scoraggiarsi, di sentirsi a tratti deboli e spesso stanchi e sbagliati. Ed è così che mi sono sentita in questo primo anno di adolescenza in famiglia, fino a quando, dopo un pomeriggio di discussioni estenuanti su tutto, un giorno, guardandolo nel suo spazio, con i suoi amici, libero di esprimersi, ho capito una cosa.

Ho capito che forse il primo problema dell’adolescenza dei nostri figli è l’impatto che ha su di noi, sulle nostre certezze, sulle nostre convinzioni, sui nostri programmi per il futuro, sulle nostre comfort zone.

Forse l’adolescenza dei nostri figli è una prova di identità per noi, non solo per loro e probabilmente è la migliore opportunità che ci sia per far pace con se stessi e con i propri fantasmi.

L’adolescenza dei nostri figli rompe completamente i nostri schemi, ci obbliga a costruire nuove risposte o quantomeno a considerarle, ci obbliga ad andare oltre i dogmi della nostra educazione e a guardare anche ad altre soluzioni.

Mi spiego, non voglio dire che si debba fare ciò che dicono i nostri figli, per carità, ma intendo dire che forse dovremmo guardare con occhi nuovi alle sfide che ci propongono di affrontare.

Quel giorno in cui ho guardato mio figlio adolescente con altri occhi ho scoperto anche delle cose bellissime.

  1. Ho scoperto di aver messo al mondo un essere umano unico, splendido nelle sue contraddizioni e ribellioni, vivo nelle sue proteste e nei suoi tentativi di autoaffermazione;
  2. Ho scoperto che quell’uomo lì ha dei gusti, magari lontanissimi dai miei, ma, evviva, sono i suoi, tutti suoi, senza condizionamenti. E ho pensato che non avrei voluto scoprire di non avergli dato uno spirito critico e la capacità di scegliere ciò che ama e ciò che no.
  3. Ho guardato al suo nuovo stile, forse troppo omologato lo confesso, ma nuovo, con un suo perchè di fondo, e anche se alla ricerca di omologazione per ora, in fondo credo che sia il segno della voglia di sentirsi parte di una comunità di riferimento.
  4. Ho imparato ad ascoltare le sue idee, spesso diverse dalle mie, ma davvero interessanti vi assicuro su molti fronti, e quelle idee spesso aprono mondi nuovi anche per me.
  5. Ho scoperto nuova musica. Voi la conoscete la trap? Io non la conoscevo, ora sì, certo: Vegas Jones, Ghali, i Dark polo gang… che dire… ci sono dei pezzi che mi piacciono proprio, e soprattutto adoro cantare con lui quei pezzi, mi fa sentire in squadra con il mio ragazzo e sento che lui adora farlo con me, anche se, ovviamente, non lo dice!
  6. Ho imparato a camminare insieme a lui senza sbaciucchiarlo e tenergli la mano, tanto poi lui mi abbraccia quando meno me lo aspetto a casa, mi dice mille volte che mi vuole bene, ma in pubblico è così, non si usa tanto da adolescenti e va bene lo stesso, non sarà questo a mettere in dubbio l’amore che ci lega.
  7. Ho imparato che se provo a trasformare la dialettica accesa che si innesca tra noi su certi argomenti in dialettica costruttiva, ascoltando le sue ragioni, mettendo in chiaro che non voglio cambiarlo o che non voglio obbligarlo ad ogni costo a fare ciò che dico, le cose si mettono meglio per tutti.
  8. Ho capito che se stabiliamo delle regole comuni e condivise e se siamo i primi a dare l’esempio nel rispettarle, è più facile che lui le rispetti, anche quando è faticoso.
  9. Ho imparato che se lo guardo per quello che sta diventando, un uomo nuovo in crescita, se gli faccio sentire che esiste con tutte le sue “specialità” e contraddizioni per noi, che non è un problema la sua adolescenza, ma un’occasione fantastica di crescita per tutta la famiglia, lui si sente accolto, si sente al posto giusto.
  10. Infine, ho imparato che ci vuole tanta pazienza con un figlio adolescente in casa, tanta tolleranza e tanta apertura alla diversità, ma che forse è proprio ora, proprio in questo momento, che noi stessi stiamo diventando adulti migliori con lui.

La famiglia in adolescenza, in fondo, può rendere tutti migliori e se considero che siamo solo ai 12 anni, avremo ancora molto, molto tempo per migliorare. 🙂